dijous, 20 d’agost del 2009

Mis poemas traducidos a otras lenguas

Mis poemas en italiano:

La traducción ha sido realizada por la autora con la colaboración de Albert Lázaro Tinaut, editor y traductor de numerosas obras de ensayo, narrativa y poesía, sobre todo del italiano y el estonio, al castellano y el catalán; y con el asesoramiento lingüístico de Pietro Dini, catedrático de Lingüística de Filología Báltica en la Universidad de Pisa –Italia- y doctor honoris causa de la Universidad de Vilna –Lituania.

LA LAVA È UN’ALTRA PELLE CHE HA DECISO DI ESSERE TRISTE.

In quale morte morirà il mio corpo?
In quale poro di celluloide si addormenteranno i miei deliri?

La lava è un'altra pelle che ha deciso di essere triste.

I pomeriggi di elettroni impazziti
vogliono fuggire per l'architrave del mio fallimento
alla caccia di trote distratte
che con un impiastro nell'occhio
assaltino la Via Lattea credendo di essere angeli
sterminatori del grigio lento.

Perchè offrirci in sacrificio
se i poemi muoiono
cercando di fare la verticale sui versi,
riempiono il suo epicentro di addominali voluttuose
e luccicano dalle sei del mattino
per morire poi strangolati
dal tricipite di una noce nera
venditrice di guide di botanica.

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Poema publicado en castellano en el portal Afinidades Selectivas, dirigido por Agustín Calvo Galán.


INFINITA, PERFETTA E CON IL SANGUE STANCO


Col mio viso nell'ultima curva del vento
attraverso le ossa della notte,
il naso aperto da costa a costa,
per non perdermi nessuno dei segreti
che conservano le viscere dei corvi.

Così ti accompagnano le mie vene di canapa
col profumo più triste legato alla finestra
e le giornate afferrando dieci dita di gomma,
come un scherzo di marmellata rancida.

Ti fondi
nella sabbia di un piano a coda nerissimo
infranta d’amore ed acqua,
e fra le gambe
un milione di accordi della tua fuga
sognano di morire nell’imminente parto.

Quando gli dèi abbassano troppo la voce
io mantengo ancora l'equilibrio sui nomi,
e assumo il rischio degli accenti
nei limiti atroci della tua fuggita,
perché con te la respirazione diventa meno costosa
e le nuvole hanno ora il compito di ubicarti
nella mappa inzuppata dei miei occhi.

Ogni piega, ogni particella
di questa cenere straniera nell'anima,
ti ricorda infinita, perfetta e con il sangue stanco.

Clicar aquí para la versión en castellano.
Este poema en su versión original fue publicado en la revista Alaire, número 1, diciembre 2008.

y en este portal en marzo de 2009.

Poema publicado en el espacio dirigido por André Cruchaga, Arte Poética. Diciembre 2009.




MACCHIO DI SILENZI IL SOFFOCAMENTO


Mi tradisce il paesaggio del mio corpo
non ci sono antibiotici per queste palpebre
che marciscono nella sterpaglia delle strade,
come l'oscenità dell'orma di un curioso
sul rumore di sedie e di patiboli
che lascia sempre falsi orologi sul tavolo
e cicatrici autentiche nelle gengive.

Ma a volte,
albeggia la vertigine delle foglie,
sull'eco dei libri e del caffè.

Allora immagino un cavallo di cartone
che combatte in sale operatorie salate,
un pomeriggio mentre domanda alla fonte
quando sostituì l'acqua con detergente per i vetri,
due seni imparando i passi di ballo
che offre la gelatina quando attraversa
celeremente la trachea,
e mi ritrovo in un angolo del pentagramma,
così assurda
come una bimba
che lancia su una luna senza parabrezza
tonnellate di trucco e crepe rugose.

E macchio di silenzi il soffocamento, il tarlo
e i desideri, come un sassofono tubercoloso.

Clicar aquí para la versión en castellano
Poema original publicado en Video-post por Foto Digital Radio



DALL'ESPRESSIVITÀ DEL NULLA

Le urgenze tacciono,
in punta di piedi dietro il dolore del corpo,
e le marionette imparano a nuotare sul salnitro
di un oceano coniugato in domani.
L'alito, magro, deambula
per la cautela dell'istinto,
e io, con tutta la cura che posso, muoio
in questo mare di sangui e timoni,
di rive strapiene di lucertole di stracci.

I miei gesti sono tanto pesanti
che pur non volendo minaccio di morte
la pelle della sorpresa.

Pesano dall'espressività del nulla
con tutti i miei morti appesi al petto,
che tessono le sue reti di fame, sotto la pazzia
di un orizzonte di tegole e sospiri
senza dimensioni che possano precipitare l'esodo.

È avvenuto ancora, la vita è morta un’altra volta
mentre io davo il colpo di grazia
agli angoli dell'ultimo verbo.

Versión en castellano
Poema publicado en su versión original en Asociación Cultural Myrtos Gramma Al manar. (octubre 2008)



QUANDO PIANGONO LE SERATE NELLA CITTÀ DEL CORPO


Non esiste il panzerotto di tonno della domenica
benché lo vediate morire di freddo alla finestra
oppure pronto ad attraversarvi atleticamente la trachea
con tanto di panico scenico negli occhi.

Non esiste nemmeno la promessa degl’inguini
quando baciano le dita disossate della notte,
con quella tenera geometria che confonde.

Soltanto i muri sottili di questa reclusione
fatta di cieli di amianto, la sveglia puntuale
nell'appuntamento con la morte, il petto distorto
quando piangono le serate nella città del corpo.

Soltanto i giorni, gravidi di aprili,
si stringono in un guscio di noce,
ostinati in una sorte di deriva atea,
navigabile dalla retroguardia del pentagramma
col suo battaglione di biscrome
che si tuffano tra le macerie ed il mio nome
sconquassato.

versión en castellano
Poema inserido en Biblioteca Digital del Siglo XXI






CONIUGAZIONI DI VIOLE MASCHERATE

I tuoi piedi somigliano fotogrammi in disordine
come baci condannati dalla censura
di un linguaggio troppo fruttatto
che risuonasse nelle tubature di casa tua.

Bolle d’aria nelle cornee
e un cuore impaurito in ogni sopracciglio.

Lo smalto ti mangia il ginocchio
e il tuo collo tende a dimensioni telescopiche,
vai a spasso per una città senza viali
dove gli specchi ti sfidano a pezzi,
le tue ali
rivendicano la tua dose di monossido di carbonio,
il russare cilindrico della fretta,
il rosso notturno facendo notte
nelle contusioni incredule e nell’inguine
dei tuoi prìncipi di caramella.

In quella realtà e non in un'altra
sono cresciuti i tuoi gabbiani
in mezzo a coniugazioni di viole mascherate
con la rotta ancorata nelle fogne
strapiene di sbadigli, baci vinti
e bocche pentite al filo del disastro.

Versión en castellano
Poema en castellano publicado en la revista Palabras Descalzas. Octubre 2008.






È SEMPRE TROPPO TARDI OLTRE IL SILENZIO

Duole dal tetto,
il lamento in carne viva ci osserva,
con le sue braccia di petali neri
e quell'aroma inconfondibile che diventa abitudine,
ammutolisce per parlare di sé stesso
e infine sento anche io il dolore per l’asprezza delle sue battaglie.

Filo, gomitolo,
rocchetto di parole secche.

I bambini morti
giocano a nascondiglio col tempo vuoto,
la loro raccolta di figurine,
e un mucchio di biglie che non hanno più fretta.

Ed eccoci qui noi tutti e il mare immenso
che ci contiene.
La fotografia non ci trattiene
ma non smettiamo di guardare, al di là del fiume, sempre sotto,
senza accordi né violini,
con le ali addormentate fra le gambe.

Non abbiamo madre,
non siamo altro che carne chiusa,
e quel pozzo inospitale minaccia da due pomeriggi
con vomiti di chioma nera, oblii di muschio
e tragedie di azzurri infiniti.

Qualcuno mi disse una volta
che è sempre troppo tardi oltre il silenzio.

Versión en castellano
Poema en castellano publicado en la revista Palabras Descalzas. Octubre 2008.





SENZA RISCHI ELETTRICI NEI PARENTESI DEL SANGUE

La mia morte si è fumata una sigaretta
al bancone suicida del bar
mentre mi parlava dell'invito urgente degli anni,
dell'assenza domiciliata nel foglio
e del suo strano modo di spegnere la luce,
senza rischi elettrici nei parentesi del sangue.

Forse sono in debito col vento,
e la mia intuizione ha dimenticato
la calligrafìa delle mie piastrelle anarchiche,
perché curiosamente,
ho arrotolato l'urgenza del verde nella finestra,
e le mie mani
hanno deciso che fosse il marciapiede l’unico orizzonte.

Ho visto la mia strada percorrere corridoi di acquavite
dimagrendo i suoi dubbi abbracciata a uno spasmo,
con sogni di biciclette messe al riparo nell'addome,
i denti inzuppati di giornali vuoti,
e paesaggi di fango allineandosi nei miei occhi.

Uno sguardo lungo alle mie spalle, una lingua
di asfalto e umidità trattenendo a morsi
l'ira delle ore avanzate, e continuo a respirare,
a respirare la timidezza del giorno
e l'infinita distanza del mio nome.

Versión es castellano
Su versión castellana fué publicada en este portal en marzo de 2009


Poema inserido en Biblioteca Digital del siglo XXI





BALLANDO CLAQUÉ SUI BINARI DELLA COSCIENZA

C'è un luogo senza nome nel mio cervello,
una sigaretta, inaspettatamente sola.

A volte osserva le mie vene
quando chiudono per lavori
e rimodellano il cassetto dove dorme
il sibilo delle tempie,
insieme ai falò che non mordono mai le mie ossa
né ballano claqué sui binari della coscienza,
né sul contorno cadaverico delle automobili della mia strada.

Nella mia casa c'è una stanza senza scarpe,
forse un paio di calze, terrificanti, nude,
con l'agonia di sapersi sempre
fra due incendi sottomarini,
che mi guardano di profilo.

Versión en castellano
Poema publicado en la sección de poesía de la Asociación Cultural Myrtos Gramma Al manar. Octubre 2008.



CON L'ARIA INCATENATA AL LUTTO DELLE VENE

Duole la pelle e l'acaro che gira fra le ossa,
la loro temperatura senza fiori in bocca
come tristezza postuma
annidata nell'ascella di un mondo di sangue discontinuo,
con armoniche fra i denti,
specchi sul petto,
un pettine di madreperla in tasca, macchiato d’erba grave,
girasoli di cartone,
piedipiatti che fanno comunione con la sabbia morsa
dal colore tacito e il ventre senza mitraglia.

Duole la densa chioma dei baci
che cingono la vita, inquilini delle mie tempie,
la carezza precisa che bisogna il dolore,
la felicità del segreto, il rosso ingarbugliato
nella lacrima quando è cicatrice sulle pozza.

Nel portachiavi di tutte le mie morti
trascino la frontiera delle mani,
mari di bolla d’aria, fragili da lontano,
sfocati, insospettabili, febbrili,
ostinati a mettere parole rotonde nelle labbra vedove
che si danno appuntamento sulla riva.

E duole. Fa male la canzone profuga di carta
e il bianco delle bocche, con l'aria
incatenata al lutto delle vene,
che peccato veder che è diventata una carezza esperta
a ferire gli azzurri che mai non respirano,
quelli che hanno perduto il lamento in qualche fosso,
e non trovano più una trincea
per appoggiare la guancia.

Lascia che galleggi, ti prego,
lascia che mi abbracci al contagio del silenzio,
col nome sistemato, rigida di luna,
con la promessa di aprirmi alle piume,
alla copia in bianco e nero del mio fronte,
lascia che vadano via i verbi,
e il sudore delle sue coniugazioni,
lasciami in questa città come coltello
e nel rumore del suo cuore quando tace.

Versión original en castellano

Colección de poemas publicaddos en la revista semestral especializada La Clessidra, nº 1/2010. Joker Edizioni. Septiembre 2010.










Mis poemas en catalán.

LES FORMES CAIGUDES D’UN POEMA ALCOHÒLIC

Una paraula contrafeta penja del meu clatell
com un escapulari
en el que el dolor de la lucidesa
hagués esborrat la normativa per a sobreviure.

Des de la seva deformitat sense anestèsia
em mira i sap que no hi haurà futur
em culpa metre llepa l’esperó d’un àngel
i ensangona els coloms
per a dotar-los d’un sentit comú irrespirable.

No aguanto aquest esguard, no em parla,
sols indigesta el seu melic a la meva retina
per ferir el terra de casa meva, la taca a la paret
i el meu amor de prostituta sense denominació d’origen.

És ella qui ovula als portals,
trenca les formes caigudes d’un poema alcohòlic
i es creu amb el dret de ser la meva ombra
quan estem a soles.

Versión en castellano

Poema publicado (en su versión castellana) en el portal de la Asociación Cultural Myrtos Gramma Al manar (Junio 2009) e incluido en la antología-homenaje VIII Festival de Poesía del Moncayo. Editorial Olifante, colección Papeles del Trasmoz, en versión bilingüe.






EL CADÀVER DEVOT DEL CEL


Encara no t’he dit que vull desgraciar-me
com ho fa el so d’una abraçada,
la perfecta arquitectura de la impotència
en aquella infinita catedral de caigudes,
on la meva sang és dinamita pel llenguatge
que puja per l’espatlla
cap a l’ull verge, cap el cutis
veí d’un nen que traspua núvols
clor i desencantament.

No serè jo qui t’expliqui
que Deu és el més gran sodomita de l’ànima
perquè tots portem un Auswitch a la butxaca
amb urinaris de luxe on evacuar els nostres noms
quan l’anonimat ens llegeix el tarot
i ens pentina amb l’índex.

El nostre càstig és el cadàver devot del cel,
la paraula lligada a un pal,
amb la seva brutal delicadesa
que ens ven llicència d’armes per a poemes.

La bellesa apunta directament
a l’entrecuix de la fe, on el cos
no cap entre les mans, la pólvora ens mossega
i el colze s’encabrita quan resa davant el mirall.

Versión castellana

Poema publicado (en su versión castellana) en el portal de la Asociación Cultural Myrtos Gramma Al manar (Junio 2009) e incluido en la antología-homenaje VIII Festival de Poesía del Moncayo. Editorial Olifante, colección Papeles del Trasmoz, en versión bilingüe.






EMBÚS D’UNA FUGIDA A LA GOLA

El record duu a la butxaca paraules a mig fer,
partides des del cor fins a l'esquena,
drogades de terratrèmols i trinxeres
amb veu d'ocell, èxode, tragèdia.

L'esborrany dels somnis camina pel carrer,
en un passeig dormit de freds i oracions.
Intima amb els bars, les ombres i el silenci,
i de l'interior del seu barret de copa
s'escolta el soroll de l'home
darrere de l'última vocal desllogada,
on la veu de les ciutats
olora sempre a capítol tancat.

I sorgeix de cop i volta, de l'àlbum
on les bromes de l'infern solen allotjar-se,
una nit massa fruitera,
exagerada de llunes i neons,
de llums defallits i crits molt silenciosos,
com drecera per a arribar a tu, a l'embús d'una fugida
a la gola, a la paràlisi del part,
a l'ensopegada amb el vers verinós que et farà cos
i que potser aconsegueixi
que en el soterrani d'una matinada insignificant
uns ulls oberts per casualitat,
et titllin de poema.

Versión en castellano


LA PARAULA TRANSPARENT POT COLPIR MÉS FORT SI S’HO PROPOSA.

Sota meu, hi ha un calaix mal tancat
que té una estranya forma de mirar-me.
Fa olor de mantegues, tardors i costum,
i algun que altre batec d'un llibre endormiscat
al que li cruixen els ossos de pluja improvisada.

Però les derrotes
sempre caminen despertes en les galledes d'escombraries,
n'hi ha prou amb endevinar-li el tremolor a la ciutat,
i veure la divina quietud dels seus morts,
els miracles de cos sencer,
els nens muntats en bombes apuntant-nos amb l'índex
i la paraula transparent,
que pot colpir més fort si s’ho proposa,
desconvocar el suïcidi de les fulles,
la llum del coll ofert,
el verd entorn de les ruïnes,
el fred dels llavis, la vida que rellisca,
les estrofes covardes,
el monzó al pit, el seu ronroneig,
o un cos cec de somni que puja per les meves cames.

Hi ha ferides de paret que són blanques com la por,
perfectes com la nuesa d'un tir,
i em deixen indefensa, rígida
i abraçada a la tragèdia dels núvols,
no em serveix l'electricitat de la lluna,
ni les diminutes taques blaves a les meves mans.

Versión en castellano


EL CEL BORRATXO DE CENDRA EM DEIXA XOPA DE MATRIUS, MANS, MORRIONS I NINOTS.

Una mirada de mora
i dos gots dessagnats a la taula.

Tots junts som masses
per a recórrer el badall del clavell quan s'oferix
en el blau ferit d'aquesta habitació tan sola.

He estat en magatzems on habiten
les paraules carregades d'anonimats,
escorxades massa aviat,
nues davant el vent dormit pels grills,
quietament negres,
sense ajuda i amb el món a l'esquena.

Tot i així
jo espero que abracin honestes
la petjada equivocada dels murs
i dissimulin la mort que passa de puntetes
quan la crosta és vermella, com la cirera
a la llum del candil, fràgil
com el petó impermeable de l'avi
que recorda el filat.

El cel borratxo de cendra
s’ajeu al meu costat,
olora a papallona quan recolza la seva humitat al meu front,
i em deixa xopa de matrius,
mans, morrions i ninots.

Jo espero
amb la clau de la meva vida prestada a la boca
i aquestes parets que em fan sempre companyia,
espero que trobi el meu nom
llençat en qualsevol carrer
i no sigui tard, ni fred, ni nit.

Versión castellana
Poema publicado en el número 2 de la revista Alaire. Marzo 2009.









ESPERO QUE LA PARAULA EM MATI.

Les finestres em miren sempre des de fora,
amb els seus ulls esquitxats de sexe, selva i incendis,
com una vagina insaciable.

Jo miro les seves històries,
oloro el calfred dels vius
com salts de perxa per un aire de mirall,
forço l’entrecuix del minut de vidre,
amb tot el florit a punt d'aliar-se
amb el diluvi del sol,
sodomitzo la vida que es cus en cada gota,
encadenada a la fúria,
a l’impassibilitat del vidre,
al projecte d'un petó, a la humitat malmesa,
i llavors,
el vapor dels meus dubtes dibuixa bastides,
estacions, llengües hostils,
les mans del silenci,
la seva llàgrima assenyalant la nit que m'oferix el seu cap,
i lentament, es vesteixen de noms les coses.

Les finestres mai m'obren els seus freds,
però jo segueixo esperant la seva carn obscena,
amb els llavis semioberts fins al caire del món,
com en una oració a la sed,
al foc, al poema,
espero amb el ventre dispost que el riu m'esborri,
que la paraula em mati
degollant el blau a dentades, qualsevol dia,
qualsevol tarda en la que el dolor adquireixi forma,
en aquesta estrofa on des de la mort
escolti crepitar el verb.

Versión castellana



Mis poemas en rumano y en inglés.

PĂTEZ CU TĂCERI SUFOCAREA

Mă trădează peisajul trupului
nu există antibiotic pentru aceste pleoape
care putrezesc între buruienile străzilor,
precum obscenitatea urmei unui curios
peste murmurul de scaune şi eşafoduri,
care întotdeauna laşa ceasuri false pe masă
şi cicatrici autentice pe gingii.

Dar uneori,
se stârneşte vertijul frunzelor,
peste ecoul cărţilor şi al cafelei.

Atunci îmi închipui un cal de carton
care-şi dă bătăliile în săli de operaţie sărate,
întrebând scăldătoarea într-o după amiază
când a schimbat apa pentru curăţat pahare,
o pereche de piepturi învăţând paşii de dans
ce-i oferă gelatina când trece
prin trahee ca laptele,
şi mă văd într-un colţ al pentagramei,
atât de absurdă
ca o copilă
zvârlind peste o lună fără parbriz
tone de machiaj şi crăpături zbârcite.

Şi pătez cu tăceri sufocarea, necazul
şi dorinţele, precum un saxofon tuberculos.

(Poezie publicată iniţial în
Video-post de Foto Digital Radio)



I STAIN WITH SILENCES THE SUFFOCATION

I am betrayed by the scenery of my body
there is no antibiotic for these eyelids
which are rotting in the streets’ weeds,
like the obscenity of a peeping Tom’s mark
over the humming of seats and scaffolds,
which always leaves false watches on the table
and genuine scars on the gums.

But sometimes,
the vertigo of leaves arises,
over the books and coffee’s eco.

Then I imagine a cardboard horse
which gives its battles in salty surgery rooms,
one afternoon asking the fount
when it changed the water to wash glasses,
a pair of chests learning the dance steps
which the jelly offers when crossing
the trachea like milk,
and I see myself in a corner of the pentagram,
so absurd
like a little girl
throwing, on a moon with no windshield
tons of make-up and wrinkly cracks.

And I stain with silences the suffocation, the sorrow
and the wishes, like a tubercular saxophone.

Clicar aquí para la versión en castellano

DIN EXPRESIVITATEA NIMICULUI

Urgenţele amuţesc,
pe vârfuri după durerea trupului,
iar marionetele învaţă să înoate, peste salpetrul
unui ocean conjugat în mâine.
Încurajarea, sfrijită, hoinăreşte
în grija instinctului,
iar eu, cât de prudent pot, mor
în astă mare de sânge şi cârme,
de ţărmuri înţesate de şopârle zdrenţăroase.

Îmi cântăresc aşa de mult gesturile
încât fără să vreau ameninţ cu moartea
pielea uimirii.

Cântăresc din expresivitatea nimicului
cu toţi morţii mei atârnaţi de piept,
ţeşându-şi pânzele de foame, sub nebunia
unui orizont de ţigle şi suspine
fără dimensiuni ce-ar putea grăbi exodul.

S-a întâmplat din nou, viaţa a murit din nou
în timp ce eu dădeam lovitura de graţie
colţului verbului din urmă.

Poezie publicată la Asociaţia Culturală
Myrtos Gramma Al manar (octombrie 2008)



FROM THE EXPRESSIVENESS OF NOTHING

The emergencies stop crying,
tiptoeing behind the body’s pain,
and the dummies learn to swim, over the saltpeter
of an ocean conjugated in tomorrow.
Support, scrawny, wanders
under instinct’s care,
and I, as carefully as I can, I die
INIin this sea of bloods and steering wheels,
of shores full of ragged lizards.

My gestures weigh so much
that I unwillingly threaten to death
the skin of surprise.

They weigh from the expressiveness of nothing
with all my dead hung on the chest,
weaving their nets of hunger, under the insanity
of a horizon of shingles and sighs
with no scale to hasten the exodus.

It has happened again, life has died again
while I was giving the finishing stroke
to the corners of the last verb.

Versión en castellano

FORMELE CĂZUTE DINTR-UN POEM ALCOOLIC

O vorbă contrafăcută îmi atârnă de ceafă
ca un scapular
în care durerea lucidităţii
ar fi şters regulile supravieţuirii.

Din diformitatea sa fără anestezie
mă priveşte şi ştie că nu există viitor,
mă învinovăţeşte pe când linge picioarele unui înger cu pinteni
şi însângerează porumbeii
spre a-i dota cu un bun simţ irespirabil.

Nu suport acea privire, nu-mi vorbeşte,
doar îşi provoacă indigestie în retina mea
să rănească solul casei mele, pata de pe perete,
şiubirea mea de prostituată fără nume pentru obârşie.

Ea este cea care ovulează în portic,
rupe formele căzute dintr-un poem alcoolic,
şi se crede îndreptăţită să-mi privească umbra,
când suntem doar noi două.

Poezie publicată (în limba castiliană) pe portalul Asociaţiei Culturale Myrtos GRamma Almanar (iunie 2009) şi inclus în antologia-omagiu a ediţiei a VIII-a a Festivalului de Poezie Moncayo. Editura Olifante, colecţia Lucrări din Trasmoz, în versiune bilingvă.


THE FORMS FALLEN FROM AN ALCOHOLIC POEM

A counterfeit word hangs on my nape
like a scapular
in which the pain of lucidity
had erased the rules of survival.

From its non-anaesthetized deformity
it looks at me and knows there will be no future,
it accuses me while I lick the feet of an angel with spurs
and stains the doves with blood
to endow them with an irrespirable common sense.

I cannot stand that looks, it speaks not to me,
it only provokes itself indigestion in front of my retina
to injure to soil of my home, the stain on the wall,
and my love of prostitute with no name for her origins.

It is her who ovulates in the porches,
it breaks the forms fallen from an alcoholic poem,
and thinks of itself rightful to be my shadow,
when we are alone.

Poem published (in its Castilian version) on Myrtos Gramma Almanar Cultural Association’s website (June 2009), and included in the homage-anthology of the 8th edition of Moncayo Poetry Festival. Olifante Publishing House, Works from Trasmoz collection, in bilingual edition.

Versión en castellano

CADAVRUL DEVOTAT DIN CER

Încă nu ţi-am spus că vreau să mă nenorocesc
precum o face sunetul îmbrăţişării mele,
arhitectura perfectă a impotenţei
în această infintă catedrală de prăbuşiri
unde sângele-mi este dinamită pentru limbaj
care suie pe umăr
spre ochiul virgin, spre derma
vecină c-un copil care asudă nor,
clor şi dezamăgire.

Nu voi fi eu cea care-ţi voi spune
că Dumnezeu este sodomitul suprem al sufletului
fiindcă toţi purtăm un Auswitch în traistă
cu latrine de lux unde să ne evacuăm numele
când anonimatul ne va ghici în tarot
şi ne va pieptăna cu arătătorul.

Pedeapsa ne este cadavrul devotat al cerului,
vorba legată de-o stinghie
cu a ei delicateţe brutală
ce ne vinde licenţe de armă pentru poeme.

Frumuseţea arată direct
între coapsele credinţei, unde trupul
nu încape în mâini, praful de puşcă ne muşcă
iar cotul se supără când se roagă în faţa oglinzii.


Poezie publicată (în limba castiliană) pe portalul Asociaţiei Culturale Myrtos Gramma Almanar (iunie 2009) şi inclus în antologia-omagiu a ediţiei a VIII-a a Festivalului de Poezie Moncayo. Editura Olifante, colecţia Lucrări din Trasmoz, în versiune bilingvă.

THE SKY’S LOYAL CORPSE

I have not told you yet I want to ruin myself
like the sound of my embrace,
the perfect architecture of impotence
in this infinite cathedral of falls
where my blood is dynamite to language
which climbs up the shoulder
to the virgin eye, up to the dermis
neighbouring a child who sweats cloud,
chlorine and blight.

I will not be the one who tells you
that God is the greatest sod of the soul
as we each carry an Auswitch in the purse
with luxurious latrines to evacuate our names in
when anonymity tells us our fortune in tarot
and combs us with the index finger.

Our punishment is the loyal corpse in the sky,
the word tied to a ledger
with its brutal delicacy
which sells us certificates to carry weapons for poems.

Beauty points straight
in between the thighs of faith, where the body
does not fit in the hands, the gunpowder bites us
and the elbow is angry when it prays before the mirror.

Poem published (in its Castilian version) on Myrtos Gramma Almanar Cultural Association’s website (June 2009), and included in the homage-anthology of the 8th edition of Moncayo Poetry Festival. Olifante Publishing House, Works from the Trasmoz collection, in bilingual edition.

Versión castellana

CERUL BEAT DE CENUŞĂ MĂ ÎMBIBĂ DE MATRICE, MÂINI, ZURGĂLĂI ŞI MARIONETE

O privire de mură
şi două vase de sânge stoarse pe masă.

toţi împreună suntem îndeajuns
să acoperim căscatul garoafei când se dăruie
în albastrul rănit al acestei încăperi atât de dezolante.

Am fost prin prăvălii unde locuiesc
vorbele încărcate de anonimat,
jupuite înainte de vreme,
goale în calea vântului adormit printre greieri,
cuminţi şi negre,
neajutorate şi cu lumea în spate.

Chiar şi aşa
sper să îmbrăţişeze sincer
urma falsă a murelor
şi să înşele moartea ce trece pe vârfuri
când malul este roşu, precum cireaşa
la lumina lustrei, fragile
precum sărutul impermeabil al bunicului
ce-şi aminteşte sârma ghimpată.

Cerul beat de cenuşă
se aşează lângă mine,
miroase a fluture când îşi sprijină umezeala de fruntea mea,
şi mă îmbibă de matrice,
mâini, zurgălăi şi marionete.

Eu sper
cu cheia vieţii mele împrumutată în gură
şi aceşti pereţi care-mi ţin mereu de urât,
sper să-mi găsească numele
zvârlit pe o stradă oarecare
şi să nu fie târziu, nici frig, nici noapte.

Poezie publicată în numărul 2 al revistei ‘Alaire’. Martie 2009


THE DRUNKEN ASHY SKY IMBUES ME WITH MATRIXES, HANDS, BELLS AND DUMMIES

A look from a blackberry
and two exsanguinated vessels on the table.

All together we are many
to cloak the yawn of the carnation which offers itself
in the injured blue of the so lonely room.

I have been in shops where
books charged with anonymity live,
flayed all too soon,
naked before the sleepy wind among the crickets,
quiet and black,
helpless with the world on their backs.

And even so
I hope they honestly embrace
the false mark of the blackberries
and cheat the tiptoeing death
when the shore is red, like the cherry
in the lamp light, fragile
as grandfather’s impermeable kiss
who remembers the barbed wire.

The drunken ashy sky
lies next to me,
smells of butterfly when it leans its humidity over my forehead,
and imbues me with matrixes,
hands, bells and dummies.

And I hope
with the key of my life lent in my mouth
and those walls which always keep me company,
I hope to find my name
thrown on some street
and not be late, nor cold, nor night.

Poem published in issue no.2 of Alaire Magazine. March, 2009
Versión castellana


Colección de poemas publicados en la revista Orizont Literar. CONTEMPORARY HORIZON MAGAZINE - ISSUE NO. 1/JANUARY-FEBRUARY 2010.
Traducător: Ana Fărnoagă
Corector: Cristina Costin








Mis poemas en Alemán.

Ein Gedicht sagt über niemand die Wahrheit


Wozu an einem apathischen Verb herumflicken,
wenn uns das Gedicht bis zum Tode betrügen wird?
Hochspannung in einem feuchten Handtuch, ist uns
sein rhythmischer Puls geeigneter Einschub zwischen Leitsätzen,
ist uns das Beben seines Adamsapfels,
wenn es das Blau der Nomen zusammenfasst,
die phonische Betonung der Ozeane
oder irgendeine andere Nichtigkeit. So ist es immer,
mit gedunsener und runder Glaubwürdigkeit
überfliegt es in Unterwäsche oder Abendkleid
sämtliche Landschaften, die nach Tragödie riechen,
alle minderjährigen Selbstmorde,
und wie viele Sackgassen
verschlingt es mit seinem Trauermarsch!
Ein Gedicht sagt über niemand die Wahrheit,
es schlägt ganz einfach die Zähne in die Pfütze,
verdreht uns und proklamiert schreiend
seine literarische Befugnis und unseren poetischen Tod.

Versión castellana

1 comentari:

Ana Muela Sopeña ha dit...

Muy hermoso, Marian, ver tus poemas traducidos al italiano y al catalán.

Belleza en la palabra.

Felicitaciones
Un beso enorme
Ana